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Elena Guaccero in cantiere con Alfonso Chiaia alla sua destra.
Elena Guaccero in cantiere con Alfonso Chiaia alla sua destra.

Elena. Massimo. Onofrio. Vittorio e Alfonso.

di Danilo Stefanelli

Qualche giorno fa ci ha lasciato Onofrio Mangini. Architetto molto attivo negli anni ’50 e ’60, in un periodo che qualcuno ha definito “una lunga guerra” a causa delle profonde trasformazioni edilizie e urbane che hanno comportato anche la cancellazione di parte del tessuto storico, della sua identità; durante questa guerra però ci sono stati dei protagonisti “eroici” che non hanno abdicato al mero principio del massimo sfruttamento fondiario, in un periodo in cui la crescita vorticosa delle occasioni professionali lasciava poco tempo alla ricerca compositiva. Tra questi “eroi” troviamo Onofrio Mangini, insieme ad altri come Vittorio Chiaia, Massimo Napolitano, Vito Sangirardi, Alfonso Chiaia, Elena Guaccero ecc. Una generazioni di Architetti, Ingegneri e Costruttori che hanno saputo regalarci memorabili esempi di architettura, ancora oggi punti di riferimento per molti professionisti. Tra questi mi piace pensare ad un edificio in particolare che ho avuto il piacere di approfondire grazie alla mia amica Annamaria Rocca, figlia di Elena Guaccero, l’edificio della Rai di Bari. Perché questo edificio? Perché rivedendo in questi giorni i progetti, i disegni (soprattutto i magnifici disegni) di Onofrio Mangini, ho apprezzato la straordinaria storia dell’edifico della Rai. In quegli anni, infatti, Elena Guaccero aveva progettato i suoi primi edifici residenziali proprio insieme a Onofrio Mangini. I loro riferimenti culturali e architettonici appaiono chiari, soprattutto negli edifici di civile abitazione che si andavano costruendo nell’espansione dei quartieri Picone, Poggiofranco, lontano dai limiti imposti dal Borgo Murattiano. In questi progetti, disegnati a 4 mani, emergono dei tratti comuni che saranno la cifra di moltissimi dei successivi progetti per Onofrio Mangini, non lo stesso purtroppo per Elena Guaccero che, una volta lasciata Bari, non si dedicherà più all’Architettura. Una cifra progettuale fatta di grandi chiaroscuri a definire le partizioni dell’organismo. La distinzione classica tra basamento, elevazione e coronamento interpretata in chiave contemporanea in linea con i maggiori Maestri dell’Architettura italiana. Una cifra compositiva fortemente legata alle nostre latitudini, il basamento spesso rivestito in pietra calcarea in contrapposizione ad una elevazione che si faceva più leggera, tagliata da lunghe finestre a nastro in volumi puri intonacati.

Ho conosciuto Onofrio Mangini qualche anno fa. Ho incontrato Alfonso Chiaia due anni fa insieme ad Annamaria Rocca, ricordo ancora i suoi occhi grandi nel vedere la figlia di Elena. Non ho mai conosciuto Elena Guaccero. Alfonso ci accolse nel suo studio con una cartellina ingiallita dal tempo in mano, la cartellina riportava i disegni realizzati da Elena e Vittorio per l’allestimento del nuovo ufficio postale dell’edificio della Rai, di cui Alfonso fu Direttore dei Lavori. Vittorio, Alfonso, Massimo, Elena e Onofrio. Erano tutti giovani in quegli anni ’50. Me li immagino nei loro studi, appena laureati, impegnati a confrontarsi progettualmente a colpi di opere realizzate, visibili, modernissime per Bari e per la Puglia. “Gli Americani di Bari”, quelli che potevano permettersi frequentazioni e conoscenze cosmopolite, viaggi e studi all’estero da riportare poi a Bari nelle loro architetture. Bene la Rai, inaugurata nel ’59 e soprannominata l’“Edificio dalle cento finestre”, volume completamente smaterializzato grazie alla facciata sud apparentemente realizzata in “curtain wall” come i palazzi di Vittorio e Massimo, vista bene è la sintesi perfetta di un’epoca ma, soprattutto, la sintesi perfetta di una generazione e della loro grande capacità compositiva e realizzativa: l’edificio nasce (dai primi schizzi) più “ancorato al suolo”, come nelle palazzine per abitazioni di Onofrio ed Elena, con una netta individuazione del basamento anche se in questo caso completamente vetrato. Il basamento corrispondeva anche ad una netta distinzione funzionale. Il piano terra-rialzato era destinato al pubblico, all’ufficio postale, alla sala abbonamenti. Il resto dell’edifico agli uffici, ai giornalisti ecc. L’edificio, come in piazza Roma, scorge ad un certo punto la necessità di proteggersi dai raggi solari a sud; in uno schizzo, ad un certo punto della composizione, spuntano dei “brise-soleil” a scandire la facciata ma, solo nell’esito finale (non confermato da nessuno schizzo), si solidifica e intreccia il dialogo con i suoi colleghi. L’edificio mantiene il suo fronte cieco ad ovest rivestito di travertino in piccole listelli, unico taglio la finestra verticale ad indicare la testata dei corridoi, ma la facciata diventa altro, più leggera, a permettere la totale compenetrazione spaziale degli uffici con la città circostante. Una perfetta “moderna macchina da lavoro”. Una parte di un tutto infatti, in quegli stessi, anni Vittorio e Massimo (ci mostra Alfonso) progettavano l’edificio di fianco, dove poi sorgerà l’attuale Corte dei Conte; i due edifici (nei disegni) sembrano riconoscere una stessa matrice, le linee orizzontali si assecondano e quelle verticali segnano lo stesso passo, come fossero parti di un medesimo prospetto. Due edifici differenti ma omogenei. Elena. Massimo. Onofrio. Vittorio e Alfonso.

Chissà, mi piace pensare che siano tornati a parlare dei loro progetti, dei loro disegni, dei loro viaggi.

Un saluto affettuoso a Carlotta Barbara Mangini.

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